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Data: 5 de gener de 2013
Categories: Blog, Textos
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Hi deu haver pocs llibres de caràcter divulgatiu sobre els Borja que no caiguin, en algun moment o altre, en la temptació de contraposar el nivell moral dels diferents membres de la nissaga. El tòpic literari pren formes distintes segons l’autor: si parlem dels papes, hi ha qui presenta l’auster Calixt, obsedit per la croada, en contrast amb el seu nebot Alexandre, preocupat per encimbellar els fills de les seves unions sacrílegues; si ens centrem en les dones, la casta viuda Maria Enríquez no té res a veure amb la seva cunyada la disbauxada Lucrècia; si ens referim a les branques familiars, els devots ducs de Gandia i les seves fundacions religioses es confronten amb la dissoluta línia italiana. Tot es resumeix en la figura de sant Francesc de Borja emergint com a restaurador de l’honor de la família davant dels pecats dels Borja transplantats a Itàlia. Aquesta construcció de l’imaginari, la base de la qual es pot resseguir documentalment des del segle XVI i arriba al seu clímax al XIX, conviu sense problemes amb una constatació històrica irrebatible: el culte que Francesc, com a duc de Gandia i com a general dels jesuïtes, i els seus reten a la memòria dels avantpassats i la bona relació que mantenen amb els parents instal·lats a Itàlia. Recordem, a tall d’exemple, el pas de Francesc per Ferrara per saludar els descendents de Lucrècia o l’exaltació dels papes Borja en la decoració del Palau ducal de Gandia. Res més lluny d’una damnatio memoriae.

Donizetti, Lucrezia Borgia, 2009 ©Bayerische Staatsoper

Donizetti, Lucrezia Borgia, 2009 ©Bayerische Staatsoper

El tòpic del Borja bo / Borja dolent, però, és d’una contundència dramàtica igualment indiscutible, per bé que de vegades pot arribar a avorrir en segons quines mans. En d’altres, en canvi, pren formes inesperades i força interessants. És el cas de l’endreça al lector amb què Tomaso Tomasi (1608-1658) obre la seva Vita del duca Valentino, publicada el 1655 amb peu d’impremta fals i inclosa a l’Índex de llibres prohibits. La nissaga espanyola dels Borja, hi explica, ha produït homes il·lustres tant en maldat com en bondat, entre els quals destaquen Cèsar Borja i Francesc de Borja, respectivament. Mentre espera que el segon sigui canonitzat -beatificat el 1624, no arribarà a sant fins al 1671-, no es pot retreure a l’autor que escrigui la vida del primer, un “esperit gran” com pocs, les malifetes del qual han contribuït paradoxalment al creixement de l’Església. Una curiosa manera de capgirar el plantejament inicial.

A chi legge

La prosapia dei Borgia è stata certo una delle più segnalate che habbia prodotta la Spagna a maraviglia dell’Italia e del mondo tutto. Ella non ha havuta prole, né per stirpe virile, né per discendenza di donne, che non sia stata feconda d’huomini grandi. Non ve n’è alcuna che al pari di lei possa giuntamente annoverare fra suoi discendenti pontefici, cardinali, principi, duchi, generali di santa Chiesa, condottieri d’armate e quel che più rileva, de’ santi, li quali pur troppo di rado si venerano nelle case de’ grandi; e fin i peggiori di questa famiglia son stati grandi e singolari nel concetto universale del mondo. Questa riflessione, fra l’altre che accennerò, mi ha fatto applicar l’animo a questa casa più che ad alcuna altra di quante ne propongono ad ammirare l’istorie, per scegliere da lei due soggetti degni d’istoria e d’ammiratione: Cesare Borgia, detto il Valentino, è l’uno; Francesco Borgia, duca di Gandia, è l’altro; quegli prima sacro e poi profano, questi prima profano e poi sacro, anzi santo; quegli dalla schiera de’ politici proposto per idea di principe saggio perché sprezzante ogni virtù e ogni religione; questi dalla Compagnia di Giesù eletto per proprio capo, come perfetto esemplare di virtù religiosa; quegli che fu grande tra gl’empi, questi che fu pio tra grandi; quegli e questi, in somma, che quasi non havessero altro di comune che’l sangue, furono un’adeguato contraposto l’uno dell’altro, ma degno, per tanto, è l’uno e l’altro di dar soggetto ad una particolare istoria per singolarissimo ammaestramento de’ posteri. Di Francesco Borgia io segno (se Iddio la concede a me) di publicare la vita, quando dal religioso zelo d’Innocentio X, sommo pontefice, ella venga, come sperasi, solennemente canonizzata col ripor lui al catalogo de’ santi. Di Cesare Borgia, havend’io già doppo cinque anni (spesi più in rintracciare che in descrivere la verità de’ fatti) ridotto a fine il racconto della vita, né essendosi in tutto il progresso di lei studiato in altro da’ miei intenti che al publico profitto degli studiosi, vengo hora ad esporne l’istoria, tale qual’è, alla publica luce de’ loro ingegni.

È vero che la vita di lui è un raccolto d’ogni più detestabile sceleratezza, ma non resta per ciò che ella non sia la vita di uno di quegli spiriti grandi de’ quali pochi mai sempre e talvolta niuno ne ha prodotto il mondo; e come non per ciò restò Iddio di permetterla al mondo, così non per questo ho io giudicato dover lasciare di rinovarla alla notitia degl’huomini. La providenza divina ha mostrato mai sempre pratticato nel gran corpo della Chiesa quell’alta maraviglia che nella prima fondatione di lei volle dare ad intendere a Pietro allhora che, additandoli in visione un lenzuolo ripieno d’animali immondi e di serpenti, gli disse: “Surge, Petre, occide et manduca”. Poiché i serpenti ancora e gl’animali impuri, entrando nel corpo ecclesiastico, servono, per gratia speciale del cielo, a nutrirlo et aggrandirlo, ha forse più giovato il Valentino all’ingrandimento della Chiesa, benché non meno li suoi fini ch’i mezzi siano stati perversi, che molti altri dell’istesso grado, li quali hanno havuto rette le intentioni e santissime l’opre. Servì la vita di lui all’essaltatione dell’apostolica sede perché seppe questa raccorre profitto dalle di lui disgratie. Servirà la medesima in questi fogli di non poco giovamento a chiunque saprà cavare antidoto dal veleno di un tal serpente. E se non altro, servirà per mostrare, a disinganno di molti, come da più di un secolo in qua, anzi che deteriorati, sono di gran lunga riformati i costumi degl’ecclesiastici e talmente regolati i governi di quegli i quali comandano nella Chiesa, che si ravviseranno diametralmente opposti a questi che ho presi a narrare.

So bene che a prima fronte sarà giudicata frustatoria fatica questa mia da tutti coloro a’ quali il non haver letto l’opre di Nicolò Macchiavelli gli fa vivere in un concetto ch’i tratti dogmatici co i quali questo auttore forma l’idea del suo Principe sieno tutti cavati al vivo dall’essemplare dei fatti del duca Valentino e che per ciò il Principe del Macchiavelli non sia che una istoria del medesimo Valentino, come l’istoria di Ciro in Zenofonte e di Tiberio in Tacito non rassembrano che una idea di principe adeguatamente politico, errore che, havendo anche io nutrito nella mia opinione finché non mi è stato lecito l’accertarmi del vero, quando poi la licenza de’ superiori m’ha permesso il leggere l’opre sudette, ho conosciuto manifesto alla prova, mentre ho scorto che non meno dal detto auttore vengono addotte in confermatione de’ suoi insegnamenti le attioni di altri huomini grandi che quelle del duca Valentino, anzi che (tolto quel solo capitolo in cui egli cerca mostrare come non dall’essito delle cose si deve argomentare la prudente lor direttione e maneggio) ei non accenna che con somma brevità qualche fatto del medesimo duca, e questo non più che in due o tre altri soli capitoli del suo Principe, oltre del quale si legge fra l’opre del medesimo una relatione della frode con la quale concertatamente il detto Valentino e’l padre fecero prigioni gl’Orsini, Vitelozzo Vitelli e Liverotto da Fermo, e come con la perdita degli stati gli fecero perdere miseramente la vita, siché tanto è lontano che dal Machiavelli si habbia una piena istoria del Valentino che anzi da ogni altro istorico di que’ tempi se ne ritrae più copiosa notitia. E questa verità, che da ciascuno può toccarsi con mano, mi rende persuaso che non sia poi per esser disapprovato il mio consiglio, se non in quanto non mi trovo proveduto di que’ talenti che si richiedano all’uopo di narrare pienamente la vita di questo duca, il quale con mille qualità singolari, benché la maggior parte detestabili, ha obligato le penne a non defraudar il mondo di una particolare e copiosa istoria della sua vita.

Ho diviso poi, per maggior commodo, questa istoria in due parti: la prima delle quali, principiando dalla nascita del Valentino e proseguendo per gli di lui avvenimenti mentre vestì la porpora, si terminarà nelle sue nozze celebrate nella corte di Francia; la seconda, dal suo ritorno in Italia col re Luigi XII e scorrendo prima per le di lui secolari grandezze e poi per li successi mirabili delle proprie sciagure, finirà nella sua morte, la quale non dee riporsi nel numero di quelle, mentre in fine un colpo di giannetta col liberarlo dai travagli della vita lo fe morire da Cesare nell’essercito del re suo cognato sotto Viana. Ecco la prima parte.


Selecció bibliogràfica

Cèsar Borja, cinc-cents anys després (1507-2007). Tres estudis i una antologia, amb textos d’Álvaro Fernández de Córdova, Jon Arrizabalaga i Maria Toldrà, València: Tres i Quatre; Institut Internacional d’Estudis Borgians, 2009 (Biblioteca Borja Minor, 2).

TOMASI, Tomaso, La vita del duca Valentino, Monte Chiaro: Giovanni Battista Lucio Vero, 1655.

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