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Data: 14 de juliol de 2018
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Devem una altra relació dels fets de Senigallia a Biagio Buonaccorsi (Florència, 1472-1523), oficial de la senyoria florentina, amic i corresponsal de Maquiavel, de qui devia tenir informació de primera mà. Maquiavel descriu l’incident, del qual és testimoni, en diversos informes d’aquells dies als Deu de Florència i en l’opuscle Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Paolo e il duca di Gravina Orsini.

Font: Diario di Biagio Buonaccorsi, coadiutore al magistrato de Dieci della guerra della città di Fiorenza dall’anno 1498 insino all’anno 1512, dins ídem, Diario de’ successi più importanti seguiti in Italia et particolarmente in Fiorenza dall’anno 1498 insino all’anno 1512, Florència: i Giunti, 1568, p. 67-70.

Era venuto dipoi el duca a Fano, et quivi di nuovo riordinò le sue genti, el numero delle quali non era bene noto agli Orsini e Vitegli, quali si trovavono in Sinigaglia, perché l’haveva condotte a poco a poco, facendo lance spezzate e non condotte grosse, per potere più facilmente condurre quello che haveva in animo di fare, come la occasione se gli porgessi, il che era di vendicarsi della ingiuria ricevuta, e col torre loro la vita assicurarsene per l’avvenire. Giunto adunque a Fano fece intendere loro come si voleva transferire in Sinigaglia e però ordinassino di allargare le genti loro e trarne quelli vi havessino dentro, volendo alloggiarvi lui; et fatto questo, subito si partì con tutte le genti sue in ordinanza per a quella volta. Il che inteso el signor Pagolo, Vitellozo, Uliverotto e gli altri gli andorono incontro con pochi cavagli, e el primo che giunse fu il signor Pagolo, sendo di già el duca presso a Sinigaglia a miglia cinque, dipoi comparsono tutti gli altri, a’ quali sua eccellenzia fece una gratissima accoglienza, havendo prima ordinato a certi sua capi che gl’intrattenessino per la via, fino a tanto che si conducessino in Sinigaglia al suo alloggiamento. Cavalcando adunque e parlando con loro quando d’una cosa e quando d’un’altra, si condussono alla porta della terra, ove el duca haveva fatto fermare tutte le sue genti d’arme in ordinanza, e commesso che la maggior parte de’ fanti, cioè tre o quattromila, entrassino in Sinigaglia e se ne uscissino tremila, che ve ne erono di M. Oliverotto, quali erono dell’ordinanza sua di Fano, che vi erono entrati nell’insignorirsi della città. Arrivata adunque la persona del duca con gli altri al luogo detto e domandando licentia ciascuno di loro per tornarsene a sua alloggiamenti, che erono all’intorno di Sinigaglia fra quattro o cinque miglia, furono ritenuti sotto colore che il duca volessi parlare loro e consultare qualche cosa d’importanza, dipoi subito sarebbono licentiati; e benché fussino entrati in sospetto non piccolo per li modi servati dal duca e per havergli visto uno esercito fuori della espettazione loro, e la ragione non volessi che ve lo aspettassino o dipoi si mettessino nelle mani sue, tamen poté più la buona fortuna di sua eccellenzia che qualunque altra cosa. Non potendo adunque poi che erono condotti quivi partirsi, accompagnorono el duca allo alloggiamento, ove scavalcati e postisi a sedere, soprastato el duca alquanto con loro e cominciato a parlare, disse che per una necessità naturale gli conveniva partire di quivi e che subito tornerebbe. Partito adunque, non fu prima fuori della stanza ove erono adunati, che vi entrorono quegli che erono deputati a tale opera e posono loro le mani a dosso, pigliandogli prigioni, di che dolendosi loro e chiamando el duca mancatore di fede, furono messi in diversi luoghi e diligentemente esaminati. L’altro di dipoi fu strangolato Vitellozo, el duca di Gravina e M. Oliverotto, e il signor Pagolo ritenuto vivo, el quale el duca condusse seco fino a Castel della Pieve, lasciandolo andare per il campo, ma con bonissima guardia, ove ancora lui fece una notte la medesima morte che havevono fatto gli altri. Non voglio lasciare di dire che quando in Sinigaglia uscì fuori la fama che quegli signori erano stati presi prigioni, e che il duca haveva commesso fussino svaligiate le loro genti d’arme, e quegli fanti di M. Oliverotto che ancora erono in Sinigaglia fussino tagliati a pezzi, subito cominciò la terra in quel tumulto andare a sacco, a che volendo riparare il duca, uscito subito fuori tutto armato e nello andare travagliando, riscontrò un mandato della signoria che seguitava sua eccellenzia per ordine di quegli, al quale chiamandolo disse: “Questo è quello che io volsi dire a monsignore di Volterra, quando venne a Urbino, ma non mi fidai mai del segreto, sì che sendomi venuta hora la occasione l’ho saputa molto bene usare e ho fatto un grandissimo piacere e servitio a’ vostri signori, etc.” Subito che il duca hebbe ritenuto prigioni e’ sopradetti, spacciò volando al papa acciò potesse sua santità fare il medesimo avanti ne fussi notitia alcuna. Havuti adunque sua santità l’avviso, fece subito mettere in Castello el signore Carlo Orsino, l’arcivescovo di Firenze, l’abate d’Alviano, fratello del signore Bartolomeo, Iacopo Santa Croce e il cardinale Orsino; e’l signore Iulio si fuggì per lo Abruzi. Li quali, dal cardinale infuori, furono dipoi licenciati tutti; lui fu messo nella torre Borgia, ove tra pochi dì morì. Non era voluto Giam Pagolo Baglioni andare con gli altri a Sinigaglia, non si fidando del duca, ma s’era ritornato con le sue genti a Perugia […].

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