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Data: 29 d'octubre de 2017
Categories: Blog, Textos
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Federico Faruffini, Legazione di Niccolò Machiavelli, cittadino e segretario fiorentino, a Imola per incontrare Cesare Borgia, duca di Valentino (1864). Musei Civici di Pavia. Font: LombardiaBeniCulturali.

Es tracta d’un dels informes als Deu de Florència redactats per Maquiavel (Florència, 1469-1527) com a representant de la senyoria prop de Cèsar Borja, de principis de 1503. El duc acaba de donar el cop de Senigallia contra els seus condottieri i pretén convèncer els florentins de la necessitat de completar-lo amb un atac contra el senyor de Siena, Pandolfo Petrucci. El secretari intenta reproduir en primera persona la verbositat del duc, per tal que, com escrivia als mateixos destinataris uns mesos abans, “le Signorie vostre intendono le parole che usa questo Signore, delle quali io non ne scrivo la metà”. Destaquem l’al·lusió final a Miquel de Corella.

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Font: Niccolò Machiavelli, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, II: 1501-1503, a cura de Denis Fachard i Emanuele Cutinelli-Rèndina, Roma: Salerno Editrice, 2003 (Edizione nazionale delle opere, V/2), p. 545-549.

Magnificis Dominis Decemviris etc.

Magnifici Domini. Scrissi da Asciesi l’ultima mia a dí 8; venimo poi ieri qui a Torsiano, luogo presso a Perugia a 4 miglia, donde partireno domani e ne andreno allo Spedaletto, discosto qui 12 miglia, alla via di Siena. E avendo scritto per l’ultima mia quanto mi occorreva e non avendo alcuna risposta di tante mie lettere scritte da’ 28 del passato in qua, non mi occorrerebbe che scrivere, se questo Signore non avessi mandato oggi per me. E transferitomi da sua Eccellenzia, mi domandò se avevo lettere da vostre Signorie; e rispondendo di no, monstrò maravigliarsene; e io non manchai di scusare questa tardità con quelle scuse che ci sono ragionevoli. E usciti di questo ragionamento, mi disse: “Tu sai quanto io vo bene con quelli tuo Signori, per reputarli uno de’ primi fondamenti allo stato mio in Italia; e per questo li andamenti miei e mie opere intrinseche e estrinseche non li hanno ad essere nascose. Tu vedi in che termine io mi truovo con costoro che erano inimici comuni de’ tuoi Signori e miei, che ne sono parte morti, parte presi, parte o fugati o adsediati in casa loro; e di questi è Pandolfo Petrucci, che ha ad essere l’ultima fatica a questa nostra impresa e securità delli stati comuni; el quale è necessario cacciare di casa, perché, conosciuto el cervello suo, e’ danari può fare e el luogo dove e’ sarebbe, quando restassi in piede, resta una favilla da temerne incendii grandi; né bisogna addormentarsi in su questo, anzi totis viribus impugnarlo. Io non fo el cacciarlo di Siena difficile, ma vorrei averlo nelle mani e per questo il Papa s’ingenia addormentarlo co’ li brevi, mostrandoli che li basta solo che li abbi e’ nimici suoi per inimici; e io intanto mi fo avanti con lo esercito: e è bene ingannare costoro che sono suti e’ maestri de li inganni. Li ambasciadori di Siena che sono stati da me in nome della Balía, mi hanno promesso bene e io li ho chiarificati che io non voglio la libertà loro, ma solo che scaccino Pandolfo; e ho scritto una lettera a quella comunità di Siena chiarificando lo animo mio; e loro ne doverrebbono pigliare buono documento in su le cose di Perugia e Castello, e’ quali ho rimessi alla Chiesa e non li ho voluti accettare; dipoi el maestro della bottega, che è el Re di Francia, non se ne contenterebbe che io pigliassi Siena per me; e io non sono sí temerario che io me ’l persuada; e però quella comunità debbe prestarmi fede che io non voglia nulla del suo, ma solo cacciare Pandolfo. E desidero che li tuoi Signori testifichino e pubblichino questa mia mente, che è solum di assicurarmi di quello tiranno. E credo che quella comunità di Siena mi crederrà. Ma quando la non mi credessi, io son per andare innanzi e mettere le artiglierie alle porti e per fare ultimum de potenzia per cacciarlo; il che io ti ho voluto comunicare, acciò che quelli Signori sieno testimoni dello animo mio; e acciò che, intendendo che’l Papa abbi scritto alcun breve a Pandolfo, sappino a che fine; perché io sono disposto, poi che io ho tolto a’ mia inimici le armi, tôrre loro anche el cervello, che tutto consisteva in Pandolfo e ne’ suoi aggiramenti. Vorrei oltre a questo pregassi e’ tuoi Signori ad essere contenti, bisognando in questo caso qualche aiuto, darmelo in benifizio mio contro a detto Pandolfo. E veramente io credo che chi, ora fa lo anno, avessi promesso a quella Signoria spegnere Vitellozzo e Liverotto, consumare li Orsini, cacciare Giampaulo e Pandolfo, e avessi volsuti obblighi di centomila ducati, che la sarabbe corsa a darli; il che sendo successo tanto largamente e sanza suo spendio, fatica o incarico, ancora che l’obbligo non sia in scriptis, viene ad essere tacito; e però è bene cominciare a pagarlo, acciò che non paia, né a me né ad altri, che quella città sia ingrata fuora del costume e natura sua.

E se quelli Signori dicessino non volere fare contro la protezione di Francia, scriverrai loro che el Re ha in protezione la comunità di Siena e non Pandolfo; e quando bene e’ lo avessi, che non lo ha, Pandolfo ha rotta tale protezione per essersi collegato contro a di me e di sua Maestà. E cosí non vengono quelli Signori ad avere scusa veruna, non venendo di buone gambe a questa impresa; e tanto piú ci debbono venire volentieri quanto e’ ci è l’utile loro, la satisfazione della vendetta e utile del Re di Francia: l’utile loro, che spengono un perpetuo inimico a quella città, uno endice di tutti i nimici loro, uno ricettaculo di qualunque fussi mai per fare contro di loro; la satisfazione della vendetta, per essere stato capo e guida di tutti e’ mali che la loro città ha, lo anno passato, soportati, perché da lui procedevono e’ danari, e’ conforti e li disegni per offenderli, e in che?, in tutto lo stato loro e nella propria libertà: le quali cose chi non desidera vendicare e non prende una occasione come questa, mostra di non si risentire di nulla e merita di essere ogni dí iniuriato; che ci sia l’utile del Re di Francia lo ’ntende ogni uomo, perché, spento costui, io e le Signorie loro restiàno libere da ogni paura degli stati nostri; e potreno correre con le genti nel Reame e in Lombardia e dovunque fia di bisogno a sua Maestà; né possiamo essere secure delli stati nostri, stando Pandolfo in Siena. E queste cose sono intese da el Re e conosciute, e però se li farà piacere grande e aranne obbligo con chi ne fia cagione; e se io conoscessi in questa cosa essere lo interesse mio solo, mi ci affaticherei piú, ma per esserci lo interesse comune, voglio che basti questo. Neanche dico questo per diffidarmi non potere per me medesimo fare questa impresa, ma per desiderare che tutta la Italia sia certa della amicizia nostra, donde ne risulti reputazione a ciascuno”. E m’impose ve ne scrivessi e facessi di averne risposta subito: e io ho scritto alle Signorie vostre quasi le formali parole.

Ragionando delle cose del Reame mi disse li Spagnoli avere morti qualche 30 uomini d’arme franzesi in uno agguato e che non era danno da stimarlo; e che di verso la Magna non si sentiva romore veruno; e che Monsignore di Ciamonte ha aúto el malegrado da el Re per avere revocato le genti d’arme; e di nuovo mi disse che li era stato uno sdegno particulare che detto Ciamonte aveva preso con sua Signoria. Raccomandomi alle Signorie vostre, quae bene valeant.

Ex Torsiano, 10 ianuarii 1502

E. D. V. servitor Nicolaus Machiavellus Secretarius.

Le Signorie vostre faranno pagare allo apportatore lire 10 e fieno contente rimborsare Biagio de’ cinque ducati, quando non lo abbino fatto, per li tre spacci ho fatti ne’ dí passati.

 Postscripta. Don Michele si è oggi adirato meco come un diavolo, dicendo che le sua lettere che li scrive a Piombino e che sono scritte a lui li sono disuggellate; e che alle porte costí di Firenze è stati tolti a certi suoi fanti, che andavono a Piombino, certi arienti rotti da quelli di dogana; prego le Signorie vostre me lo lievino da dosso con el rimediare all’una cosa e l’altra iustificare. E a quelle mi raccomando.

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